Un edificio a energia zero
Come anticipato nell'Archi 4/2014, commentiamo il progetto «la scatola di fiammiferi Casa di legno a Cugnasco» sotto il profilo energetico. Abbiamo incontrato l’architetto Gionata Epis, nella sua doppia veste di progettista e utente dell’edificio, e il direttore del centro di certificazione Minergie, l’ingegner Milton Generelli.
Archi: Architetto Epis, l’aspetto energetico è stato preso in considerazione nelle primissime fasi progettuali? In quale modo ha influito sul progetto?
Gionata Epis (GE): L’aspetto energetico è stato il motore trainante di ogni scelta progettuale. L’utilizzo di varie fonti di energia rinnovabile non può non essere preso in considerazione fin dai primi schizzi. In primis gli apporti solari passivi: determinano l’orientamento e la dimensione delle aperture.
Nel caso specifico ho scelto di posizionare i vetri delle aperture sul filo esterno della facciata. Questo permette di ottimizzare l’entrata del sole annullando in sostanza le ombre riportate dalle mazzette tradizionali aumentando quindi gli apporti. Naturalmente l’utilizzo di vetri performanti (tripli vetri con gas Argon e fattore g 51%) è d’obbligo per scongiurare il surriscaldamento estivo ma allo stesso tempo per permettere ai raggi di entrare in casa quando c’è più necessità, ossia in inverno. La combinazione con la protezione solare (pannelli scorrevoli esterni) garantisce una temperatura ottimale anche nel periodo estivo. L’energia rinnovabile della legna è stata scelta quale vettore energetico per il riscaldamento.
Una scelta radicale, certo, che ha permesso nel 2014 di certificare la prima casa Minergie-A con il riscaldamento 100% legna in Ticino. Il sistema è molto semplice, e trova origine nelle vecchie stufe ad accumulazione denominate «pigne», rivisitata in chiave moderna. Il fabbisogno quotidiano corrisponde a 7 kg di legna durante l’autunno e parte della primavera. Mentre nella stagione fredda richiede 15 kg quotidiani caricati una sola volta al giorno. La potenza nominale dell’impianto è di 5.6 kW, anche se difficilmente alle nostre latitudini capiterà di sfruttare a pieno tale potenza.
Il focolare è posto al piano terreno, questo scalda una «camera d’aria» appositamente progettata che a sua volta scalda i muri in mattoni refrattari. Questi accumulano il calore per poi rilasciarlo in superfice raggiungendo una temperatura superficiale tra i 50 e i 60 gradi. Il calore si diffonde poi per irradiazione, proprio come il calore del sole. La canna fumaria sale al secondo piano, e grazie a una serie di cunicoli e di curve, il «fumo» (meglio sarebbe dire aria combusta) raggiunge temperature attorno agli 800 gradi grazie alla frizione provocata dalle curve stesse. Il calore generato scalda la massa in mattoni refrattari del satellite (estensione del focolare al PT) il quale rilascia lo stesso calore nell’ambiente sempre grazie all’irradiazione. In sintesi, il risultato finale è una superficie irradiante di 14 mq.
Scegliendo un sistema di riscaldamento del genere le conseguenze sulla progettazione sono immediate: due grandi open-space (al PT e al 1P) permettono al calore di distribuirsi uniformemente. Ciò non accadrebbe se ci fossero corridoi e porte tradizionali che ostacolerebbero il flusso di calore. Tutti gli spazi ruotano attorno al grande cuore caldo della casa, sala da bagno compresa. Sempre il sole è sfruttato per la produzione di energia elettrica mediante 40 mq di pannelli fotovoltaici con una potenza di picco di
6 kWp. I pannelli, con un’inclinazione di 5°, sono posti sul tetto piano e non sono visibili dall’esterno. Quest’aspetto non ha influito molto sulle scelte architettoniche. Pure il collettore solare (combinato a un boiler con termopompa integrata) che garantisce la produzione di acqua calda sanitaria è stato sistemato sul tetto.
Riassumendo, posso affermare con certezza, che l’aspetto energetico non solo influisce sulle scelte progettuali, ma ne detta le regole e ne plasma gli spazi.
Ingegner Generelli, in cosa consiste la scelta «radicale» fatta dall’architetto Epis?
Milton Generelli (MG): Lo standard scelto è nato come risposta all’interrogativo riguardo lo standard costruttivo di domani (NDR: denominati edifici a energia quasizero, nZEB). Minergie-A rappresenta oggi una concreta e pragmatica soluzione svizzera per edifici a zero energia, già oggi realizzabile e applicato a oltre 270 edifici edificati o in fase di realizzazione.
Già da oltre 15 anni è possibile certificare edifici con il marchio Minergie, ampiamente riconosciuto e diffuso. Il marchio è rappresentato da tre standard di efficienza energetica: Minergie, Minergie-P e Minergie-A. Esso consente di certificare tutte le categorie di edifici, sia nuovi che ammodernati. L’aggiunta della parte -Eco contraddistingue gli edifici che, oltre a rispettare i requisiti degli standard Minergie, Minergie-P e Minergie-A, pongono una particolare attenzione all’ecologia della costruzione e alla salute degli occupanti. L’obiettivo principale di questo standard è la costruzione di edifici sostenibili che rispettino l’ambiente e nel contempo garantiscano un elevato comfort e benessere per gli utenti.
La caratteristica principale di un edificio Minergie-A è un bilancio energetico nullo o addirittura in attivo. Ciò significa che il fabbisogno di energia per il riscaldamento, la produzione di acqua calda sanitaria, l’aerazione e, se del caso, anche per la climatizzazione, è compensato interamente in loco con una corrispondente produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il ricorso alle energie rinnovabili è un parametro chiave per lo standard raggiunto: come ha influito sull’architettura?
GE: I vincoli dettati dall’utilizzo delle energie rinnovabili sono essenzialmente tecnici e non progettuali. Influiscono sulla pianificazione della «macchina edificio» ma non sulle forme e sui volumi. L’architetto ha a disposizione tutta la libertà che avrebbe anche senza utilizzare al massimo le energie pulite.
MG: Gli edifici Minergie-A sono equipaggiati da impianti per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili sia per la copertura del fabbisogno di calore, sia per la produzione di energia pulita in loco. Oggi la maggior parte di questi edifici è munita di impianti a pompa di calore, associati a pannelli fotovoltaici. L’alternativa, come in questo caso, sono gli impianti di riscaldamento a legna, associati a collettori solari termici. In alcuni casi si ha invece una combinazione delle due tipologie.
I limiti alla progettazione per l’architetto sono pochi. È però fondamentale considerare l’edificio come un tutt’uno tra involucro e impianti. Lo standard pone un limite massimo sull’indice finale di energia pari a 0 kWh/(mq*a) e un requisito sull’involucro pari a quello posto per lo standard Minergie di base. In questo modo è garantita maggior flessibilità progettuale e sta all’architetto o all’ingegnere valutare se è necessario compensare un eventuale minor isolamento termico con un’impiantistica particolarmente efficiente.
Come per gli altri standard di certificazione del marchio, è comunque necessario prevedere un involucro edilizio ben coibentato ed ermetico, un impianto di aerazione controllata, una buona protezione termica estiva, degli impianti efficienti che permettano di ridurre i consumi energetici, nonché un impiego razionale dell’energia e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.
Gli specialisti sono stati coinvolti fin dall’inizio, ancora in fase progettuale? Cosa hanno apportato al progetto?
GE: Buona parte della riuscita di questo progetto è legata alla collaborazione con vari specialisti.
I consulenti energetici (arch. Monica Bogatto e ing. Gloria Lucchini Bardelli IFEC Consulenze SA) sono stati di fondamentale importanza. In quanto progettista non sarei mai stato in grado di redigere anche solo l’incarto energia per la domanda di costruzione senza il loro sostegno.
Inizialmente la difficoltà maggiore è stata formare un gruppo di specialisti che credesse nel progetto almeno quanto il sottoscritto. Le diffidenze iniziali erano soprattutto basate sulla scelta del tipo di riscaldamento che non permette una regolazione «stanza per stanza».
Superare lo scetticismo dettato dal timore del prototipo ha richiesto molta perseveranza. In questo caso, a sostenermi nell’iniziativa, ha giocato un ruolo fondamentale, il costruttore della stufa ad accumulazione (Thomas Lechleitner ditta Candrac), che non ha mai smesso di rassicurarmi sulla pertinenza dell’impianto scelto. Definisco questo progetto il «caso 0» giacchè prima di esso, almeno in Ticino, non esistevano case certificate Minergie-A riscaldate esclusivamente utilizzando la legna. È stato necessario coinvolgere anche lo specialista per l’impianto di aereazione controllata (Tiziano Sala GS Air System) in quanto il passaggio dei tubi deve essere pianificato già in fase di progetto. L’esperienza accumulata dai vari specialisti è stata messa a dura prova e ha apportato al progetto una consapevolezza progettuale che mai avevo sperimentato prima d’ora.
Come e quando è nata l’idea di certificare l’edificio?
GE: Come progettista conoscevo già i vari standard Minergie e ritengo questo label un ottimo strumento a disposizione degli architetti per costruire in maniera energeticamente efficiente e rispettosa dell’uomo e dell’ambiente. Mi aspetto che la certificazione corrisponda alla realtà. Mi attendo un bilancio pari a zero. Così come certificato.
Perché è stata scelta la certificazione Minergie-A?
GE: L’indice energetico ponderato Minergie pari a zero o minore di zero costituisce il principio centrale dell’abitazione Minergie-A. È sempre stato chiaro che l’ottimizzazione della tecnica dell’edificio doveva fare parte di un concetto globale. L’edificio è interessante poiché usa in modo efficiente varie fonti energetiche (termiche / elettriche / ambientali) e poi compensa con il fotovoltaico. Potrebbe essere portato ad esempio per la flessibilità dello standard, per l’approccio all’uso della fonte di energia rinnovabile ottimale per ogni utilizzo, esalta il concetto corretto d’impiego della pigna.
Lo standard Minergie-A è molto severo, ma le soddisfazioni che si traggono da una costruzione a «energia zero» sono innumerevoli. Forse è stata proprio la presunta soddisfazione, che in fase progettuale si può solo immaginare, a farmi scegliere la certificazione A.
Quali parametri di progetto vanno tenuti sott’occhio da parte dell’architetto e in quali fasi?
GE: Nella fase progettuale va prestata particolare attenzione alla tecnica dell’edificio. Solitamente si pone l’accento sulla tecnica in fasi successive, ma in questo caso non sarebbe stato possibile scindere tecnica e progetto. Entrambe contribuiscono in egual misura alla buona riuscita del progetto, sia dal lato architettonico/progettuale che dal lato puramente tecnico.
Nella fase di redazione della domanda di costruzione si necessita del sostegno dei vari specialisti, senza i quali sarebbe davvero complicato riuscire a redigere un incarto energia correttamente. Mentre il progettista scrive l’opera, il fisico della costruzione ne è il direttore d’orchestra. Tutti gli altri specialisti i componenti dell’orchestra. Se anche solo una delle parti in gioco non fa correttamente il suo dovere la musica stona.
In fase esecutiva realizzare la costruzione è «facile» data tutta la preparazione effettuata nelle fasi precedenti. A differenza di una costruzione tradizionale lo standard Minergie-A lascia poco spazio all’improvvisazione.
MG: Così come per lo standard Minergie-P, anche per Minergie-A è richiesta una verifica della qualità dell’involucro costruttivo tramite il cosiddetto «test blowerdoor», che permette di valutare la tenuta all’aria dell’edificio al termine della realizzazione. In aggiunta, in un edificio Minergie-A è necessario installare apparecchi elettrici della miglior classe energetica disponibile sul mercato, mentre gli impianti di illuminazione devono essere energeticamente efficienti sia nel consumo che nella gestione. Ulteriore requisito per un edificio Minergie-A riguarda la limitazione del consumo di energie non rinnovabili per la costruzione, manutenzione e demolizione: la cosiddetta «energia grigia».
Dovendo ripensare al progetto, ci sono degli elementi o delle fasi che realizzerebbe diversamente?
GE: La difficoltà maggiore, come spiegato sopra, è stata costituire un gruppo di lavoro che avesse voglia di sperimentare sul tema. Una volta composto il team adeguato, le fasi successive sono state edificanti. Abbattere lo scetticismo e la disinformazione riguardo ai temi dell’architettura sostenibile diventa la missione di edifici come questo.
Che vantaggi porta la certificazione in fase di progetto?
GE: Direi che la certificazione ti obbliga a ben pensare, pianificare con estrema attenzione, e a prevedere le problematiche di cantiere. Questo permette poi, in fase esecutiva, di procedere speditamente senza particolari intoppi. Da non dimenticare il vantaggio economico (sussidio cantonale) che funge da stimolo sia al progettista che all’utente finale.
Costruirebbe altri edifici perseguendo gli stessi obiettivi?
GE: Mi sento di rispondere, in tutta onestà, che il mio scopo professionale è costruire seguendo questa via. Grazie alla tecnica dei materiali e alla grande flessibilità del sistema, ogni architetto ha a disposizione un’ampia gamma di strumenti da utilizzare consapevolmente a favore sia dell’ambiente sia dell’uomo più in generale. Non utilizzare tali strumenti, ai miei occhi, risulta un immenso spreco di risorse. Certificare o meno una costruzione, alla fine, è una scelta del committente. Costruire in maniera sana è invece responsabilità dell’architetto.
In questo caso l’architetto progettista è anche utente dell’edificio. In questa seconda veste gli abbiamo sottoposto alcune domande su comfort e comportamento dell’utenza.
Rispetto alla costruzione «tradizionale» sono notevoli le differenze in termini di comfort?
GE: Certamente. Ho vissuto per anni in vecchie case, dove il risparmio energetico nemmeno veniva preso in considerazione. Dove la produzione di calore veniva vanificata dalle innumerevoli perdite. Dove gli impianti tecnici non erano efficienti e dove il consumo d’energia era sproporzionato alla resa. Col tempo il fascino indiscusso delle vecchie case ha lasciato il posto all’insofferenza per lo spreco. Sia esso energetico che monetario.
Esistono, a mio parere, almeno due tipi di comfort. Il primo è un comfort tangibile e concreto. Lo si sente sulla pelle. Il comfort termico appartiene senz’altro a questa categoria. Respirare aria sempre pulita, grazie alla ventilazione controllata, rientra anch’essa in questa definizione di comfort. Ci si sente oggettivamente bene. Il secondo è un comfort psicologico. Essere consapevoli di abitare in una casa a energia zero è motivo di serenità psicologica. Non contribuire allo spreco rende più consci. Produrre energia pulita rallegra le giornate. Ci si sente oggettivamente bene.
Viene eseguito un monitoraggio in continuo del funzionamento dell’edificio?
GE: Il monitoraggio dell’edificio è eseguito quotidianamente. Esso consiste in piccoli gesti. Vivere un edificio del genere non richiede grandi basi scientifiche.
Le protezioni solari, in estate, vengono chiuse manualmente a dipendenza di dove si trova il sole. In inverno, si decide di caricare più o meno legna a dipendenza della meteorologia. E sempre in inverno gli apporti solari passivi sono sfruttati al massimo non chiudendo le protezioni solari.
In base a questi accorgimenti si verifica la temperatura interna e si decide, giorno per giorno, quanta legna consumare o quanto sole far entrare in casa. Gesti quotidiani che non costano nessuna fatica e rendono consci di quanto si sta consumando. Alla fine si consuma solo ciò di cui si ha bisogno. Il monitoraggio serve a migliorare le prestazioni.
Ritiene problematico abitare in un edificio ermetico?
GE: Premetto di non aver mai vissuto prima d’ora in un edificio ermetico, e di conseguenza non posso fare paragoni tra edifici ermetici. Nel mio caso particolare definirei prima di tutto il termine «ermetico». La casa in questione è ermetica all’aria sì, ma non al vapore. Ciò significa che il sistema costruttivo scelto come pure i materiali di costruzione (telaio in legno portante, coibentazione in cellulosa di legno-fibra di legno e lana di montone, rivestimento interno ed esterno in legno naturale) fermano la fuoriuscita d’aria dalla casa bloccando di conseguenza anche la dispersione del calore. Questo è sicuramente un grande vantaggio del quale però non si avverte direttamente il beneficio. Si avverte invece la permeabilità della struttura al vapore. I materiali scelti, non bloccando il vapore acqueo che inevitabilmente si forma all’interno di tutte le case, permettono letteralmente ai muri di respirare. Fondamentalmente autoregolano il tasso di umidità all’interno di essi permettendo alla stessa di migrare da una parte o dall’altra della struttura.
Inoltre la ventilazione controllata garantisce il ricambio d’aria senza aver la sensazione di dover aprire le finestre per arieggiare. Soprattutto durante la stagione fredda questo permette di ridurre drasticamente le perdite di calore dovute all’apertura delle finestre. Ciò non toglie che le finestre vengano aperte durante i mesi estivi al calar del sole ma non per ventilare, bensì, per raffrescare l’interno se ce ne fosse bisogno sfatando così il mito che in un edificio Minergie non si possano aprire le finestre.
Sull'architettura del progetto: «La scatola di fiammiferi»
Certificazione: Minergie-A, TI-043-A
Intervento: Costruzione nuova
Superficie (Ae): 192 mq
Riscaldamento: 100% stufa a legna | Ac- qua calda 60% pompa di calore aria esterna/acqua, 40% collettori solari termici
Impianto fotovoltaico: 5.9 kWp (999 kWh/kWp annui di energia prodotta)
Requisito primario involucro dell’edificio: 35.8 kWh/mqa (limite 41.0 kWh/mqa)
Indice Minergie-A: -8.1 kWh/ mqa (limite 0 kWh/mqa)
Valore limite energia grigia: 24.4 kWh/mqa (limite 50 kWh/mqa)
Particolarità: Stufa ad accumulazione al piano terreno, con elemento satellite al primo piano; elettrodomestici e illuminazione efficienti